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il problema BIOFILM nelle lesioni croniche

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Il problema Biofilm nelle lesioni croniche .

Sono ormai numerosissime le evidenze che la gestione del biofilm nelle lesioni cutanee croniche rappresenta uno degli obiettivi principali da perseguire nella cura delle ferite.  I dati attualmente disponibili evidenziano presenza del biofilm tra il 65 ed il 100% delle lesioni che non guariscono o che manifestano tempi di guarigione molto prolungati.  

La gestione ed il controllo del biofilm è un'attività clinica complessa in quanto oltre alla prevenzione iniziale, con l’impiego di agenti che contrastano la formazione del biofilm, occorre provvedere alla rimozione dei residui e del tessuto necrotico (che rappresentano il pabulum per la formazone del biofilm stesso)  e alla prevenzione di nuove ulteriori formazioni di biofilm con impiego di agenti antimicrobici locali o sistemici.

Nella pratica clinica corrente si fa abitualmente riferimento a tabelle di sensibilità (il cosi detto antibiogramma) provenienti dal laboratorio di microbiologia clinica che una volta ottenuta la coltura in vitro stabilisce con opportuni test di sensibilità, quali antibiotici devono essere impiegati per la cura di quella lesione e quale sia l’antibiotico che presenta maggiore attività battericida in relazione alla dose. 

Queste  decisioni sono supportate oltre che dai test antimicrobici in vitro  da linee guida validate quasi sempre per la gestione delle di infezioni acute.   Nel caso della ferite croniche non sempre questo atteggiamento appare offrire soluzioni terapeutiche efficaci e spesso, pur in presenza di trattamenti antimicrobici ed antibiotici mirati ed efficaci in vitro la lesione sul piano clinico non progredisce verso la guarigione

E’ altresi  noto che i batteri possono essere presenti in almeno due diverse forme di crescita: Una prima forma detta planctonica rappresentata da cellule singole a crescita rapida tipiche delle brodocolture termostatate o con la crescita su piastre di agar, molto comunemente usate nei nostri laboratori .  La seconda forma, caratteristica invece delle lesioni croniche è costituita da comunità aggregate di cellule a crescita lenta in forma appunto di aggregati di biofilm microbico.  

La microbiologia clinica saggia i test di suscettibilità agli antibiotici quasi esclusivamente su modelli planctonici. Queste tecniche abituali nei laboratori di microbiologia rispecchiano tuttavia la fase di stato in cui si trovano i batteri durante un'infezione acuta.  Questi metodi, che rappresentano lo standard dell’indagine microbiologica su tampone , per esempio, pur essendo ampiamente accettati, non riflettono certamente le condizioni peculiari in cui si trovano le colonie batteriche che incontriamo tipicamente nelle lesioni biofilmate. 

Nella definizione più attuale i biofilm rappresentano  dunque aggregati di batteri, miceti ed altre forme microbiche ( come virus, forme L , protozoi, e in alcuni casi lieviti e muffe) incapsulati in una matrice extracellulare autoprodotta che, in questo modo, li rende generalmente tolleranti agli agenti antimicrobici (tra cui antibiotici e antisettici). 

Attualmente, nella pratica clinica non esistono test diagnostici affidabili per determinare con certezza la presenza di biofilm o quantomeno di quantificare il biofilm presente sulla superficie della ferita.  Come è noto i biofilm presentano una estrema tolleranza e autoprotezione nei confronti della maggior parte degli agenti antimicrobici e non ultimo una estrema tolleranza anche ai meccanismi di contrasto del sistema immunitario dell'organismo ospite alla crescita dei microrganismi. 

Nei casi dove la colonizzazione è estesa generalmente l’osservazione della lesione consente di valutare la presenza di biofilm. Questa è caratterizzata dalla presenza di tessuto necrotico, di depositi di fibrina e materiale gelatinoso mucinoso, più o meno viscido, adeso al fondo della lesione, che si asporta con una certa difficoltà al passaggio di una garza inumidita e che si rigenera rapidamente dopo la rimozione, questo spesso si associa a presenza di essudato.  In molti altri casi la presenza di biofilm non è ben identificabile anche se è universalmente condiviso che tutte le ferite croniche che non guariscono siano di fatto BIOFILMATE.

In questo senso anche le principali linee guida internazionali suggeriscono con un elevato grado di evidenza di partire dal presupposto che tutte le ferite croniche che non guariscono e che non hanno risposto alle cure standard siano da considerarsi tali per la presenza di BIOFILM  e che pertanto i trattamenti debbano essere orientati in questo senso specifico. 

La prevenzione, l’identificazione e la successiva gestione del biofilm nelle lesioni cutanee rappresenta quindi uno degli obiettivi principali, se non l’obiettivo principale,  nella cura delle ferite proprio perchè la presenza del biofilm è identificata come una delle cause principali della ritardata guarigione delle ferite. Questo con tutte le conseguenze che comporta sia in termini di qualità di vita dei pazienti che in termini di incidenza sui costi di gestione sanitaria di queste patologie.

 

 


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